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Crescere o non crescere? La paura uccide..lasciamola andare!

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Messaggio  Admin Sab Gen 19, 2008 10:03 pm

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Crescere o non crescere?... Le paure uccidono… lasciamole andare!


L'evoluzione ci ha dotati di numerosi meccanismi per la sopravvivenza, che possiamo grossolanamente suddividere in due categorie funzionali: la crescita e la protezione. Questi meccanismi di crescita e protezione costituiscono i comportamenti base di cui ogni organismo ha bisogno per sopravvivere. Sono sicuro che conoscete l'importanza di proteggere voi stessi, ma può darsi che non vi rendiate conto che anche la crescita è altrettanto indispensabile per la vostra sopravvivenza, anche se siete persone adulte che hanno già raggiunto la completezza fisica. Ogni giorno, miliardi di cellule del vostro corpo si consumano e devono essere sostituite. Ad esempio, l'intero rivestimento cellulare del vostro intestino viene sostituito ogni settantadue ore. Per mantenere questo costante ricambio di cellule, il corpo ha bisogno di una notevole quantità di energia quotidiana.
I Biofisici presero coscienza per la prima volta dell'importanza dei comportamenti di crescita e protezione in laboratorio, dove l'osservazione delle cellule individuali è stata spesso fonte di intuizioni sul pluricellulare corpo umano. Quando clonavano cellule Umane endoteliali, esse si ritraevano dalle tossine che i ricercatori introducevano nella coltura, esattamente come gli esseri umani scappano davanti ai puma e ai teppisti in un vicolo buio. Al contrario, si dirigevano verso le sostanze nutritizie, come fanno gli esseri umani nei confronti della colazione, del pranzo, della cena e dell' amore. Questi movimenti opposti sono le due risposte cellulari agli stimoli ambientali. Dirigersi verso un segnale vitale, come le sostanze nutritizie, rappresenta una risposta di crescita; ritrarsi da segnali minacciosi, come le tossine, rappresenta una risposta di protezione. Va inoltre ricordato che alcuni stimoli ambientali sono neutri, e non provocano né una risposta di crescita né una di protezione.
Tutte le ricerche, in questo ambito, ci dimostrano che i comportamenti di crescita/protezione sono essenziali anche per la sopravvivenza di organismi pluricellulari come l'uomo. Ma c'è un problema in questi opposti meccanismi di sopravvivenza che si sono evoluti nel corso di miliardi di anni: i meccanismi di crescita e quelli di protezione non possono agire in modo ottimale contemporaneamente.
In altre parole, le cellule non possono muoversi simultaneamente in avanti e all'indietro. Le cellule dei vasi sanguigni umani che i ricercatori hanno preso in esame a Stanford rivelarono un'anatomia microscopica e una anatomia altrettanto microscopica, ma completamente diversa, di risposta protettiva. Ciò che non potevano fare era assumere entrambe le configurazioni contemporaneamente [Lipton et al. 1991].
Con una modalità di risposta uguale a quella delle cellule, l'uomo limita inevitabilmente i comportamenti di crescita quando entra in una modalità protettiva. Se state fuggendo davanti a un puma, non è una buona idea investire energia in comportamenti di crescita. Per sopravvivere, cioè per sfuggire al puma, chiamate a raccolta tutte le vostre energie per innescare una risposta "fight or flight' (lotta o fuggi). Ridistribuire le riserve di energia per alimentare la risposta protettiva causa inevitabilmente una sospensione della crescita.
Oltre allo spostamento dell' energia nei tessuti e negli organi implicati in una risposta protettiva, un'altra ragione inibisce la crescita. I processi di crescita richiedono uno scambio aperto tra l' organismo e il suo ambiente. Ad esempio, l'assorbimento del cibo e l'espulsione dei prodotti di scarto. invece, la protezione richiede una chiusura del sistema per separare l' organismo dalla minaccia percepita.
I processi di crescita sono debilitanti non soltanto perché consumano energia, ma anche perché ne richiedono la produzione. Di conseguenza, una risposta protettiva prolungata inibisce la produzione di energia vitale. Quanto più a lungo rimanete in uno stato difensivo, tanto più compromettete la vostra crescita. È addirittura possibile bloccare i processi di crescita al punto che la frase "essere spaventati a morte" diventa una realtà.
Per fortuna, la maggior parte di noi non arriva mai al punto di "essere spaventati a morte". A differenza delle cellule individuali, la risposta crescita/protezione negli organismi pluricellulari non è un aut-aut: non tutti i nostri 50 trilioni di cellule devono essere in fase di crescita o di protezione nello stesso momento. La proporzione di cellule impegnate in una risposta di protezione dipende dalla gravità della minaccia percepita. Potete sopravvivere allo stress derivante da queste minacce, ma l'inibizione cronica dei meccanismi di crescita compromette gravemente la vostra vitalità. È anche importante notare che, per sperimentare pienamente la vitalità, non basta liberarsi dai fattori di stress.
Nel continuum crescita/protezione, eliminare i fattori di stress vi pone soltanto in un punto neutro. Per crescere rigogliosamente, non dobbiamo soltanto eliminare i fattori di stress, ma cercare attivamente una vita gioiosa, piena di amore e gratificazione, che stimoli i processi di crescita.

La verità è che la paura rende ottusi. Gli insegnanti lo sanno benissimo: lo stress legato all'esame paralizza gli studenti che, con mani tremanti, scrivono risposte sbagliate perché il panico impedisce loro di accedere alle informazioni immagazzinate nel cervello, frutto del lavoro di un intero semestre.
Il sistema HPA è un meccanismo molto efficiente per gestire lo stress acuto, ma questo sistema di protezione non è stato concepito per essere attivato in continuazione. Nel mondo odierno, la maggior parte degli stress non si presenta sotto forma di "minacce" intense e concrete, facili da identificare e a cui reagire immediatamente. Siamo costantemente assediati da una quantità di preoccupazioni irresolubili riguardo la nostra vita personale, il lavoro e la nostra comunità globale, lacerata dalle guerre. Questo tipo di preoccupazioni non minaccia in modo immediato la nostra sopravvivenza, ma può attivare ugualmente l'asse HPA determinando una notevole produzione cronica di ormoni dello stress.
Per capire gli effetti negativi della presenza prolungata di adrenalina, facciamo l'esempio di una gara di corsa. Gli atleti, ben allenati e in forma, si dispongono sulla linea di partenza. Al comando: «Ai vostri posti», si inginocchiano, appoggiano le mani a terra e premono i piedi contro i blocchi di partenza. Al comando: «Pronti!», i muscoli degli atleti si contraggono, mentre tutto il corpo poggia sulle dita delle mani e sulla punta dei piedi. Nella posizione "pronti", il corpo produce gli ormoni adrenalinici che favoriscono la "fuga" potenziando i loro muscoli per il difficile compito che li aspetta. Mentre gli atleti sono in attesa del comando: «Via!», il corpo si tende nell' anticipazione. In una gara normale, la tensione dura soltanto un secondo o due, prima dell' ordine: «Via!». Ma nella nostra gara immaginaria l'ordine «Via!», che farebbe scattare gli atleti, non arriva mai. Gli atleti rimangono ai blocchi di partenza, con il sangue pieno di adrenalina e il corpo teso nello sforzo di prepararsi a una corsa che non avverrà mai. Per quanto in forma siano, nel giro di pochi secondi crolleranno fisicamente per lo sforzo.
Noi viviamo nel mondo di un continuo «Pronti!», e le ricerche indicano sempre meglio che il nostro stile di vita basato su un costante stato di allerta ha gravi conseguenze sulla salute. i fattori di stress quotidiani attivano continuamente l'asse HPA, preparando il nostro corpo all'azione. Ma, a differenza degli atleti, il nostro stress deriva dalle pressioni prodotte da paure e preoccupazioni croniche. Quasi tutte le principali malattie acquisite sono collegate allo stress cronico [Segerstrom e Miller 2004; Kopp e Réthelyi 2004; McEwen e Lasky 2002; McEwen e Seeman 1999].
In uno studio rivelatore pubblicato nel 2003 su Science, venivano esaminati i motivi per cui i pazienti che assumono antidepressivi SSRI come il Prozac e lo Zoloft non manifestano miglioramenti immediati. intercorre in genere un intervallo di almeno due settimane fra l'inizio dell' assunzione del farmaco e i primi segni di miglioramento. Lo studio ha rivelato che le persone depresse soffrono di una strana assenza di divisione cellulare nell' area del cervello chiamata ippocampo, una sezione del sistema nervoso legata alla memoria. Le cellule dell'ippocampo riattivano la divisione cellulare quando la persona inizia a sperimentare il cambiamento di umore indotto dai farmaci SSRI, settimane dopo l'inizio del regime farmacologico. Questo e altri studi sfidano la teoria secondo cui la depressione è semplicemente il prodotto di uno "squilibrio chimico" che colpisce la produzione, da parte del cervello dei segnali chimici monoammine, nel caso specifico la serotonina. Se fosse davvero così, semplice, i farmaci SSRI ripristinerebbero immediatamente lo squilibrio chimico.
Sempre più ricercatori indicano nell'inibizione della crescita neuronale a opera degli ormoni dello stress la causa della depressione. Infatti, nelle persone cronicamente depresse, l'ippocampo prefrontale e la corteccia, che è il centro delle funzioni intellettive superiori, sono fisicamente rimpiccioliti. In un articolo su Science leggiamo: «Negli ultimi anni, l'ipotesi monoammina è stata sostituita dall'ipotesi stress, che postula che la depressione si instauri quando il meccanismo cerebrale dello stress entra in sovraffaticamento. In questa teoria è l'asse ipotalamico-ipofisiario-surrenalico (HPA) a svolgere il ruolo principale [Holden 2003].
L’effetto dell'asse HPA sulla comunità cellulare rispecchia l'effetto dello stress su una popolazione umana. Immaginate una comunità in tensione come ai tempi della guerra fredda, quando la paura di un attacco nucleare sovietico pesava come un macigno sulla mente degli americani. Come le cellule di un organismo pluricellulare, i membri di questa "società della guerra fredda" continuano a svolgere attivamente i compiti che contribuiscono alla crescita della comunità, e di solito vanno d'accordo tra loro. Le industrie producono, i costruttori edificano nuove case, i negozi sono pieni di cibo e i bambini vanno regolarmente a scuola. La comunità è in uno stato di salute e crescita, e i suoi membri cooperano costruttivamente per un fine comune.
Improvvisamente, il suono della sirena di allarme scuote la città! Tutti abbandonano il lavoro e cercano scampo nei rifugi antiaerei. [armonia della comunità va in pezzi, poiché gli individui pensano solo alla propria sopravvivenza, lottano per farsi strada in un rifugio. Dopo cinque minuti, suona il segnale di cessato allarme. I membri della comunità tornano al lavoro riprendendo la vita normale.
Ma che cosa accadrebbe se suonasse la sirena, i cittadini corressero nei rifugi e non arrivasse mai segnale di cessato allarme? La gente rimarrebbe all'infinito in una posizione di protezione, e per quanto tempo riuscirebbe a mantenerla? Alla fine la comunità collasserebbe per mancanza di cibo e acqua. Uno alla volta, anche i più forti morirebbero, perché lo stress cronico è debilitante. Una comunità può facilmente sopravvivere a uno stress di breve durata, come un attacco aereo, ma uno stress troppo prolungato causa l'interruzione della crescita e il crollo della comunità.
Un altro esempio dell'impatto dello stress sulla popolazione è la tragedia dell' 11 settembre. Fino al momento dell' attacco terroristico, il paese era in uno stato di crescita. Poi, subito dopo l'attacco, appena la notizia si sparse in tutta la nazione, abbiamo tutti sperimentato un senso di minaccia alla nostra sopravvivenza. L’impatto delle dichiarazioni governative che sottolineavano la continua presenza del pericolo nella scia dell' attacco, fu simile all'effetto dei segnali adrenalinici: fece passare i membri della comunità americana da uno stato di crescita a uno stato di protezione. Dopo alcuni giorni di panico, la vitalità economica del paese era così compromessa che il presidente dovette intervenire. Per stimolare la ripresa della crescita, il presidente continuò a ripetere: «L’azienda America è aperta». Ci volle un po' perché la paura finisse e 1'economia si riprendesse. Tuttavia, la minaccia terroristica residua sta ancora debilitando la vitalità dell'America. In quanto nazione, dovremmo considerare con maggiore attenzione il modo in cui la paura di atti terroristici sta minando la qualità della nostra vita. In un certo senso i terroristi hanno già vinto, poiché sono riusciti a spaventarci, spingendoci verso un atteggiamento cronicamente difensivo e devitalizzante.
Suggerisco anche a voi di esaminare come le vostre paure, e i comportamenti di protezione che ne derivano, condizionino la vostra vita. Quali paure ostacolano la vostra crescita? Da dove vengono queste paure? Sono necessarie? Sono reali? Contribuiscono a una vita più piena? È controllando le nostre paure che possiamo riprendere il controllo della nostra vita. Il presidente Roosevelt conosceva bene la natura distruttiva della paura e scelse con cura le parole che indirizzò alla nazione, stretta tra la Grande Depressione e una guerra mondiale imminente: «Non c'è nulla di cui avere paura, se non la paura stessa». Lasciar andare le paure è il primo passo verso una vita più piena e più appagante.



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